Léon Bloy - Lettere alla fidanzata - A.F. Formiggini Editore Roma - 1926



Léon Bloy - Lettere alla fidanzata - A.F. Formiggini Editore Roma - 1926

Lettere alla fidanzata



Leon Bloy - Lettere alla fidanzata - A.F. Formiggini Editore Roma - 1926




Traduzione di Ferruccio Rubbiani
[...]"Questa traduzione delle sue lettere amorose, a pochi anni dalla loro pubblicazione in Francia,
è anche la prima traduzione italiana di un'opera di lui." [...]

Pag.71 Parigi, 21 Novembre 1889
Mia Jeanne amata,

[...] Ti ho ho detto l'altro giorno uno dei miei segreti più dolorosi. Tu l'hai accettato generosamente.
Ma ho paura che questa generosità non sia l'effetto di una eccessiva innocenza. Sono triste naturalmente
così come si è piccoli o come si è biondi. Sono nato triste, profondamente, orribilmente triste
e sono posseduto dal più violento desiderio della gioia soltanto in virtù della legge misteriosa che attira i contrari. Se tu diventerai mia moglie dovrai curare un malato. Mi vedrai passare, qualche volta all'improvviso,
senza causa evidente e senza transizione, dalla più viva allegria alla più tetra melanconia.
Ma ecco una cosa ben strana e che non pretendo di spiegare. Malgrado l'attrazione potente
esercitata su di me dall'idea vaga della felicità, la mia natura, più forte ancora, mi spinge
verso il dolore, verso la tristezza, forse verso la disperazione.
Mi ricordo che da bambino ho rifiutato spesso con indignazione, con rivolta, di prendere parte
a giuochi ed a divertimenti la sola idea dei quali m'inebriava di gioia, perché trovavo più nobile soffrire e far soffrire me stesso rinunciandovi. Nota bene, amica mia, che questo avveniva al di fuori di ogni calcolo,
di ogni concetto religioso. Soltanto la mia natura agiva oscuramente. Amavo istintivamente il dolore, volevo essere sventurato. Questa sola parola: mi entusiasmava. Credo di aver ereditato da mia madre, l'anima spagnola della quale era ad un tempo così ardente e così tetra, e la principale attrattiva del cristianesimo è stata per me l'immensità dei dolori del Cristo, il grandioso, trascendentale orrore della sua Passione. Il sogno inaudito di quell'innamorata di Dio che domandava un paradiso di torture, che voleva soffrire eternamente per Gesù Cristo e che concepiva così la beatitudine, mi sembrava allora e mi sembra oggi ancora la più sublime di tutte le idee umane. Ho scritto tutto questo nel Désespéré ai capitoli X, XII e XIII.
E' evidente che un povero essere umano fatto in questo modo doveva essere il più gran nemico di sé stesso e il suo primo carnefice. Quando sono diventato un uomo ho crudelmente mantenute le promesse della mia
infanzia pietosa e la maggior parte dei dolori veramente orribili che ho sopportati sono stati certamente opera mia, sono stati decretati da me contro me stesso con ferocia selvaggia. [...]


Léon Bloy - Lettere alla fidanzata - A.F. Formiggini Editore Roma - 1926
Link su Bloy:
LO SPECCHIO DEGLI ENIGMI
pagg. 129\133
Jorge Luis Borges Altre Inquisizioni Adelphi 

Il pensiero che la Sacra Scrittura abbia (oltre al suo valore letterale) un valore simbolico non è irrazionale ed è antico; si trova in Filone di Alessandria, nei cabalisti, in Swedenborg. Siccome i fatti narrati dalla scrittura sono veri (Dio è la verità, la verità non può mentire, eccetera), dobbiamo ammettere che gli uomini, nel compierli, rappresentano ciecamente un dramma segreto, determinato e premeditato da Dio. Di qui a pensare che la storia dell'universo - e in essa le nostre vite e la più tenue circostanza delle nostre vite - abbia un valore incongetturabile, simbolico, non c'è un tratto infinito. Molti devono averlo percorso; nessuno così mirabilmente come Léon Bloy. [...]
Un versetto di San Paolo (1 Cor, 13,12) ispirò Léon Bloy.
"Videmus nunc per speculum in aenigmate: tunc autem facie ad faciem. Nunc cognosco ex parte: tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum". Torres Amat miserevolmente traduce: "Al presente non vediamo Dio se non come uno specchio, e sotto immagini oscure: ma allora lo vedremo faccia a faccia. Io non lo conosco ora se non imperfettamente: ma allora lo conoscerò con una visione chiara, al modo che sono conosciuto".
Quarantatré voci fanno l'ufficio di ventidue; impossibile essere più verbosi e più fiacchi.
Cipriano de Valera è più fedele: "Ora vediamo attraverso uno specchio, nell'oscurità; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte; ma allora conoscerò come sono conosciuto."
Torres Amat ritiene che il versetto si riferisca alla nostra visione della divinità; Cipriano de Valera (e Léon Bloy) alla nostra visione generale. A quanto ne so, Bloy non dette alla sua congettura una forma definitiva.
Sparse per la sua opera frammentaria (nella quale abbondano, come tutti sanno, la lagnanza e l'ingiuria), ci sono versioni o facce distinte. Eccone alcune, che ho tratto dalle pagine clamorose di Le mendiant ingrat, di Le vieux de la Montagne e di L'invendable. Non credo di averle esaurite: spero che qualche specialista in Léon Bloy (io non sono tale) le completi e le rettifichi.
[...] La sesta è del 1912. In ciascuna delle pagine di L'Ame de Napoléon, libro il cui proposito è decifrare il simbolo di Napoleone, considerato come precursore di un altro eroe - uomo e simbolico anche lui - che sta nascosto nel futuro. Basterà citare due passi. Uno: "Ogni uomo è sulla terra per simboleggiare qualcosa che ignora e per realizzare una particella, o una montagna, dei materiali invisibili che serviranno per edificare la Città di Dio." L'altro: "Non c'è sulla terra essere umano capace di affermare chi egli sia, con certezza.
Nessuno sa che cosa è venuto a fare in questo mondo, a che cosa corrispondono i suoi atti, i suoi sentimenti, le sue idee, né qual è il suo nome vero, il suo imperituro Nome del registro della Luce...La storia è un immenso testo liturgico nel quale le iota e i punti non valgono meno dei versetti o dei capitoli interi, ma l'importanza degli uni e degli altri è indeterminabile e sta profondamente nascosta."
[...] Bloy (ripeto) non fece altro che applicare alla Creazione intera il metodo che i cabalisti ebrei applicarono alla scrittura. Questi pensarono che un opera dettata dallo Spirito Santo fosse un testo assoluto: vale a dire un testo dove la collaborazione del caso è riducibile a zero. Questa premessa portentosa di un libro impenetrabile alla contingenza, di un libro che è un meccanismo di propositi infiniti, li spinse a permutare
le parole della Scrittura, a sommare il valore numerico delle lettere, a valutare la loro forma, a prestare attenzione alle minuscole e alle maiuscole, a ricercare acrostici e anagrammi e ad altri rigori esegetici dei quali non è difficile farsi burla. La loro difesa è che nulla può essere contingente nell'opera di una intelligenza infinita.*  Léon Bloy postula questo carattere geroglifico - questo carattere di scrittura divina, di crittografia degli angeli - in tutti gli istanti e in tutti gli esseri del mondo. Il superstizioso crede di penetrare tale scrittura organica: tredici commensali articolano il simbolo della morte; un opale giallo, quello della disgrazia...
E' dubbio che il mondo abbia un senso; è ancora più dubbio che abbia un duplice e un triplice senso, osserverà l'incredulo. Io credo che sia così; ma credo che il mondo geroglifico postulato da Bloy sia quello che meglio conviene alla dignità del Dio intellettuale dei teologi.
"Nessuno uomo sa chi è" affermò Léon Bloy. Nessuno come lui potrebbe illustrare questa ignoranza intima.
Si credeva un cattolico rigoroso e fu un continuatore dei cabalisti, un fratello segreto di Swedenborg e di Blake: eresiarchi.

*Che cos'è un intelligenza infinita? domanderà forse il lettore. Non c'è teologo che non la definisca; io preferisco un esempio. I passi che muove un uomo, dal giorno della sua nascita a quello della sua morte, disegnano nel tempo un'inconcepibile figura. L'Intelligenza Divina intuisce tale figura immediatamente, come quella degli uomini un triangolo. Quella figura (forse) ha la sua determinata funzione nell'economia dell'universo.





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